Roma, 10 dicembre 2022 - Convegno Regionale Rifondazione Comunista
Intervento del Coordinamento Associazioni Lazio Mobilità Alternativa (CALMA)

Ringrazio, prima di tutto, per l’invito a partecipare a questo interessante Convegno, in cui ho sentito stamattina e ancora poco fa significativi racconti sul degrado del trasporto pubblico e progetti per la sua rinascita. Dalla mia esperienza in CALMA altri ne potrei aggiungere di pesanti e pure di assurdi, tanto assurda alle volte appare qualche situazione in cui veniamo piombati. Penso che di fronte a tanti problemi così strettamente connessi, intrecciati, interdipendenti ci sia quasi da perdersi, dunque sia assai complicato individuare come uscirne, come migliorare una situazione così compromessa e solidificatasi nelle procedure e nella testa delle persone. Ancora più problematico sembra poter avviare un processo di transizione verso una diversa organizzazione della mobilità pubblica e privata, per favorire assetti civili e di qualità nella vita della città confrontandosi con abitudini radicate in tanti comportamenti. Cambiare resta pur sempre disagevole, al netto dei costi economici. Eppure a questo impegno ci sollecita il nostro incontro, il cui obiettivo dichiarato nelle relazioni e posto all’inizio dalla compagna Fraleone è precisamente quello di cercare di migliorare, di far funzionare l’esistente ma insieme di arrivare a un nuovo modello di trasporto pubblico, vale a dire a una nuova impostazione in contro tendenza rispetto alla privatizzazione sempre più spinta del servizio, per poterlo ricostruire con i caratteri tratteggiati nella relazione introduttiva.

Ritengo che non si volessero indicare i famosi due tempi, bensì affermare che in ogni proposta, azione, movimento volti a “far funzionare” ciò che c’è, vi sia in germe l’idea del cambiamento; in qualche modo un passo non isolato ma parte di un obiettivo più ampio verso cui convergere. Qui fuori passa il tram 2 ed è meglio che ci sia, in ogni caso, ma le sue potenzialità sono per così dire mortificate dal non essere parte organica della riqualificazione del nodo di scambio Flaminio e più in generale dell’intero quadrante. Insomma, quello che manca è un obiettivo di lungo termine, se vogliamo un punto di vista che illumini e guidi i passi, necessariamente piccoli o graduali, con i quali percorrere un cammino insieme di miglioramento e di cambiamento. Un obiettivo che indirizzi la programmazione del servizio, con tutte le prudenti cautele derivanti dall’incertezza delle conoscenze.

Propongo due punti alla discussione, ovviamente da approfondire o a cui aggiungerne altri. Il primo è chiarire che si chiama pubblico un servizio che tale non è nei fatti. Non soltanto nel senso di essere stato investito da pesanti concessioni ai privati di linee, attività, componenti essenziali, ma soprattutto perché si è interiorizzato nel cuore del servizio il modo di fare tipico delle imprese private. Sia la forma di impresa, una società per azioni, sia conseguentemente l’adozione delle modalità di gestione mutuate dal diritto privato e commerciale rendono puramente formale la direzione pubblica che origina dall’azionista pubblico umico o maggioritario. Di fatto e giuridicamente ci troviamo in presenza di imprese che gestiscono servizi a rilevanza economica e il cui management (il nome che si è data la burocrazia privata per sfuggire al discredito che accompagna questa parola, copyright J.K.Galbraith) si occupa solo di alchimie contabili, nel caso migliore. Nel peggiore o si dimostra incapace o truffa, salvo rarissimi casi. Insomma, non il diritto alla mobilità ma l’impresa è posta al centro del servizio, dell’attività. Così l’utente viene retrocesso a cliente e solo come tale può reclamare l’osservanza di orari, comfort, ecc.; non può far valere il suo diritto alla mobilità verso un’impresa che ha tutt’altri obiettivi. Può darsi, come ho sentito in alcuni interventi, che gli utenti ne sappiano di più del management, della burocrazia aziendale; ma il fatto che questa non ascolti o non risponda a tono non deriva tanto dal non sapere quanto dal fatto che l’impresa risponde semmai ai propri azionisti e il rapporto con gli utenti si limita al farsi un’idea della domanda, al marketing, restando l’organizzazione e gestione dell’attività entro le proprie esclusive competenze.

Non è il caso qui di approfondire ulteriormente; basti dire che ne consegue per noi la costrizione a giocare di rimessa: riuscendo al massimo con tanta e tanta fatica e spreco di tempo a correggere parzialmente questa o quell’azione dei gestori del servizio. È in ogni caso preclusa l’iniziativa per far valere il diritto alla mobilità mediante il servizio pubblico se non nei limiti dell’inganno teso dalla contabilità dell’azienda. Ricordo sempre che alternative sono possibili: in particolare - magari ad alcuni di voi già in altre occasioni l’ho detto – la riforma sanitaria evitò di creare nuove aziende con l’affidamento del servizio alle Unità Sanitarie Locali, funzioni dirette del Comune e della Regione. Poi lo stesso centro sinistra trasformò tali Unità in Aziende, le attuali ASL, vanificando un punto centrale della riforma con la conseguente apertura alle privatizzazioni, fino all’attuale abnorme situazione. Del resto Acea recentemente è ricorsa al Tar contro la cosiddetta tassa sugli extra profitti, pur pagandola, a dimostrazione della contraddizione insanabile che si determina tra l’esigibilità del diritto ai beni o ai servizi pubblici e la gestione di Spa solo formalmente pubbliche. Destrutturare, demolire l’idea corrente di servizio pubblico, rifondarla abbattendo l’ostacolo aziendale della sua gestione mi pare un compito essenziale, una stella polare che ci possa guidare.

Il secondo punto concerne la partecipazione, parola purtroppo declinata in modi tali da farle perdere completamente la sua carica innovativa. Non ostante ciò da noi, in Italia, non hanno corso neppure le esperienze, le buone pratiche come si dice, presenti in altri Paesi, a cominciare dal Dibattito Pubblico francese tanto studiato quanto ignorato. Tutto si è ridotto finora a quella rachitica normativa presente nel Codice degli appalti e in qualche altra norma disseminata qua e là, nelle norme tecniche del piano regolatore, ad esempio. Naturalmente è del tutto esclusa la possibilità di rifiutare l’opera. Si tratta semmai di porre qualche modifica marginale. Casi esemplari ve ne sono tantissimi, come la grande partecipazione sollecitata per l’elaborazione del PUMS che ha messo capo alla riproposizione di una serie di progetti che giacevano da anni nei cassetti del Comune, della Agenzia per la mobilità! Ma la pratica va estendendosi, per esempio la richiesta di osservazioni al Piano dei rifiuti comunale da presentarsi entro il 30 settembre scorso che non ha prodotto alcuna modifica, non dirò ripensamento circa l’errore di puntare tutto sull’inceneritore. Anzi, l’assessore del IX Municipio si è dimesso, raro e prezioso momento di coerenza, quando non ha potuto ottenere nemmeno una migliore protezione ambientale con la cattura della CO2. L’impianto è quello e non si discute, pur non rientrando nel programma elettorale del sindaco e con la contrarietà di parte della sua stessa maggioranza tenuta all’oscuro. Con il Governo Draghi che ha contestualmente proposto e ottenuto dal Parlamento il commissariamento dell’opera. Fare, senza perdersi in chiacchiere! Insomma, avanti con i disastri!

È evidente allora che la partecipazione che noi vogliamo, comporta la modifica delle procedure di decisione, l’introduzione e la rilevanza di altri interessi (precisamente i diritti di cittadinanza – salute mobilità istruzione lavoro…- inerenti a un servizio pubblico) rispetto alla compatibilità con i costi come voluti da azionisti e management. Produce una alterazione nelle gerarchie del potere, ed è perciò una pratica cha va assolutamente evitata o almeno, ove non sia possibile, edulcorata. Il caso della tramvia Saxa Rubra Laurentina è paradigmatico. Due delibere comunali l’hanno decisa, perché l’Assemblea capitolina non ha potuto distorcere, come abitualmente fa, la proposta popolare; ma nulla s’è fatto; penso proprio perché la proposta non originava dal Comune. Ora si ripropone invece la metro D, assurda economicamente e trasportisticamente, come del resto la linea C.

Insomma, poiché la posta in gioco consiste nel modificare le procedure della decisione pubblica, cioè in pratica la gerarchia di chi decide, va messa mano alla costruzione di organismi in grado di reggere il conflitto. Strada impervia che non annulla ma anzi si sostanzia dei piccoli passi che possono essere compiuti per ottenere forme di partecipazione migliori, più efficaci e via via più solide. I comitati ne sono una espressione, ma serve anche una congiunzione tra utenza e lavoratori delle aziende di trasporto se pensiamo a modifiche strutturali del servizio che necessariamente implicano cambiamenti nelle modalità di gestione. Il punto di vista diverso, cui prima accennavo, si basa sulla capacità dei lavoratori di incidere sull’affermazione dei propri diritti nel luogo di lavoro, e per questa via sull’assetto aziendale e sugli obiettivi, le priorità del servizio. Che non si raggiunge se essi stessi non si fanno tramite con la società civile, con gli utenti e più generalmente gli abitanti. Una intermediazione necessaria, seppure assai difficile. Il rappresentante della Cgil stamattina ha detto cose importanti che condivido e sappiamo quanto sia arduo costruire le lotte per il riconoscimento dei diritti dei lavoratori nelle aziende. Alla Cgil e agli altri sindacati si chiede però di misurarsi per un contratto che contenga la presa di parola sul piano industriale dell’azienda in sinergia con l’utenza. L’obiettivo di far partecipare i lavoratori all’indirizzo generale dell’impresa – battendo ogni ambiguità di cogestione – tiene insieme, a mio modo di vedere, il miglioramento delle condizioni di lavoro, della sicurezza e della qualità della vita dei lavoratori con le azioni di miglioramento tecnico aziendale e con le finalità del servizio effettivamente pubblico. È’ un passo politico difficile, sì! ma può darsi che non sia impossibile se opereremo insieme anche con altri che non sono qui oggi ma coi quali da tempo ciascuno di noi intesse rapporti e azioni. Grazie.

Vittorio Sartogo